martedì 9 luglio 2013

Diciamo No! Alla globalizzazione dell'indifferenza!!!

La globalizzazione e soprattutto la fluidità del mondo moderno ha reso sempre più difficile "l'incontro con l'altro". Un altro divenuto diverso, sconosciuto e pertanto ostile, da guardare con assoluta diffidenza. In pochi si sono chiesti "perché'" o se questa diversità non potesse essere un vantaggio, un'occasione di crescita e arricchimento reciproco, una sorta di scambio di tradizioni, lingua, cultura, ma soprattutto di punti di vista. Quel modo diverso di leggere la realtà che fa crescere ed essere più respons-abili (=abili a dare delle risposte agli accadimenti) e che al tempo stesso avvicina all'altro.

E' diventato quasi un dogma: ha un colore di pelle che non e' il nostro, parla un'altra lingua, ha altre abitudini quindi e' diverso. I media non fanno che alimentare questa credenza, basta leggere i fatti di cronaca: "extracomunitario preso a rubare in un supermercato" , "extracomunitario stupra....", "extracomunitario uccide...".... Eppure ci sono tante persone, la maggior parte, che provengono da altri Paesi, anche molto lontani, che lavorano e sono delle brave persone.... perché di queste non si parla mai? 

In questi giorni papa Francesco con le sue parole ha scosso la coscienza di tutti, anche di coloro che sono sempre stati sordi, indifferenti ed egoisti nei confronti del prossimo.
La cultura del benessere, dice il papa, ci rende "insensibili alle grida degli altri", ci fa vivere "in bolle di sapone", in una situazione che porta "all'indifferenza verso gli altri". Di più oggi c'e' una "globalizzazione dell'indifferenza", "ci siamo abituati alla sofferenza dell'altro, non ci riguarda, non ci interessa, non e' affar nostro." Sono parole forti, che catturano l'attenzione anche di coloro che non credono, che non sono mai andati  in chiesa. Anche un'agnostica come me viene rapita da queste parole; mi sento messa di fronte a delle responsabilità e mi inducono a riflettere. 

Se ci pensiamo bene l'emigrazione come fatto sociale ha sempre assunto una valenza collettiva. Questo significa che non e' mai stata considerata nella sua dimensione individuale, come percorso personale ed esistenziale del soggetto. 
Una famiglia che emigra porta con se', oltre al dolore dell'esilio, i traumi del viaggio, le difficoltà economiche e linguistiche, l'esclusione sociale, una sorta di "sorda sofferenza psichica" come la definisce M. Rose Moro.
Ma non dobbiamo andare molto lontano, talvolta l'indifferenza riguarda il vicino di casa di cui spesso non conosciamo neppure il volto, il collega al quale non concediamo un cambio turno, ecc...
Questo nostro modo di vivere e di essere ci rende più forti? 
Questa indifferenza ci protegge?
Di cosa abbiamo paura?

La paura....la paura di guardarci dentro, di non essere all'altezza, di cedere qualcosa che ci appartiene...
La paura ci isola sempre di più.
La paura ci impedisce di realizzare il nostro progetto al mondo! Un progetto che non possiamo realizzare da soli; non dimentichiamoci che siamo "animali sociali", abbiamo bisogno di vivere in comunità, di interagire con gli altri perché l'interazione e' confronto, crescita e scoperta di se stessi.
Se vogliamo vivere una vita più serena e felice diciamo "No alla globalizzazione dell'indifferenza!" e cominciamo a guardarci in faccia, non evitiamo gli sguardi. Levinas, sostiene che guardare il volto dell'altro significa farsi carico delle sue sofferenze; guardare il volto dell'altro ci responsabilizza!




1 commento:

  1. Esprimo il mio pieno accordo basandolo su poche riflessioni. Gli esseri umani sono tutti eguali a prescindere dal colore della pelle. Hanno sentimenti identici a tutti gli altri quindi non c'è supremazia di razza. Le grandi migrazioni muovono la gente: buoni e cattivi. Vogliamo respingerli perchè in mezzo forse ci sono anche dei cattivi? Lumanità è piena di buoni e di cattivi. Abbiamo esportato mafia, ndrangeta e camorra in tutto il mondo e vogliamo parlare noi di cattivi? Ha ragione Papa Francesco: di veramente globalizzato c'è solo l'indifferenza che è un segnale ben triste e misero di cui non dobbiamo vantarci. Abbiamo e avremo vantaggi dalle immigrazioni ma è ora che definiamo in modo civile il problema dell'integrazione e della nazionalità. Quando i nostri migranti sbarcarono a New York provarono sulla loro pelle la discriminazione e quindi siamo esperti. Facciamo dunque le cose per bene ma è troppo chiedere a questa classe politica di mostrare coraggio e civiltà, buona politica.

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